Solo, dentro l'ascensore rapido che pencolava su un lato del grattacielo trasparente, e si arrampicava verso le nuvole, quattroagosto a Kuala Lampur forse contro ogni logica, si accorse di avere una scarpa slacciata. Panico. Follia, una scarpa slacciata. Iniziò a sudare, malgrado l'aria condizionata gelida che rendeva un frigorifero ambulante il cilindro d'acciaio e vetro in cui era imprigionato. Rivoli gli colarono dentro la camicia impeccabile, stirata solo un'ora prima. 36esimo floor. Ancora una ventina, e sarebbe stato dinanzi a lei, il suo capo supremo, chinato come un cane a supplicarne la benevolenza. Il sudore si fece più copioso, la scarpa era allacciata perfettamente, adesso. Sotto, un oceano di tetti copriva la terra fra le acque, un mosaico di silenziosi formicai brulicanti come i vermi sul corpo di un animale morto. Barcollò. La cintura gli stringeva in vita, la camicia aderiva al suo petto depilato, affannato come un mantice: solo 24 ore prima era a casa sua, stravaccato con una birra sul divano pieno di molliche, poco prima che arrivasse il bip bip del messaggio cifrato con cui gli era stato ordinato di partire subito. La destinazione solo in aereoporto. Terza volta in un anno che accadeva. Fortunatamente poco, anche se aveva imparato a farsi piacere l'imprevisto, meglio se pericoloso. Lei lo aspettava nella sala luminosa , una scrivania perfettamente in ordine, i bagliori del sole attutiti dal freddo dell'aria, tacchi altissimi sulle gambe splendide, riflessa nella luce dello schermo del PC, gli occhi fissi su di lui del colore fra il fuoco e della terra, magnifica e suprema, una dea dell'assoluto. Prese da un basso mobile un sottile frustino, lui si chinò e senza una parola iniziò a sbottonarsi i calzoni, poi li mollò giù insieme ai boxer: rimase seminudo, carponi, gli occhi bassi, in attesa. Un solo colpo ben assestato, a disegnare rami scarlatti sulle natiche, poi le parole, dure , sferzanti: "mi obbedirai come sempre, lo so, sai cosa ti aspetta se non lo farai, stavolta la cosa è decisamente sopra le tue possibilità, ma tu lo farai". Lentamente si avvicinò, tanto che lui poteva sentire il profumo che facevano le sue mutande, spinse il suo bacino contro il suo viso, le mani forti sulla nuca di lui, ed iniziò una cantilena di parole tenere, una voce da bambina dolce e folle: mentre sollevava la stretta gonna e metteva la sua fica all'altezza della bocca tremante di lui. Lui fece quello che ci si aspettava da lui, docile e mansueto, un cane di razza obbediente, non a caso lei era la sua padrona e da ogni suo gesto dipendeva la sua incolumità, e non solo nel corpo: ma allo stesso tempo stava esplorando con la lingua il suo paradiso personale e quello che lo aspettava un giochino semplice, rispetto a questo. Mortale ma semplice. Il clitoride di lei duro nella sua bocca; gli umori sulle sue guance, nel suo naso; il sapore di conchiglia algosa nel suo cervello , come un chiodo fisso. Lei si staccò, infine: prese da un elegante contenitore una Magnum Parabellum e glielà passò, poi lo congedò dicendogli: " il resto a dopo ", e chiuse con uno scatto le porte dell'ascensore. Lui si guardò ed aveva ancora una volta la scarpa slacciata, ma adesso non era più importante.
giovedì 18 febbraio 2010
la chiavata piu strana
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento