giovedì 18 febbraio 2010

la chiavata piu strana


Solo, dentro l'ascensore rapido che pencolava su un lato del grattacielo trasparente, e si arrampicava verso le nuvole, quattro
agosto a Kuala Lampur  forse contro ogni  logica, si accorse di avere 
una scarpa slacciata.
Panico. Follia, una scarpa slacciata. Iniziò a sudare, malgrado l'aria 
condizionata gelida che rendeva un frigorifero ambulante il cilindro 
d'acciaio e vetro in cui era imprigionato. Rivoli gli colarono dentro 
la camicia impeccabile, stirata solo un'ora prima. 
36esimo floor. Ancora una ventina, e sarebbe stato dinanzi a lei, il 
suo capo supremo, chinato come un cane a supplicarne la benevolenza. Il 
sudore si fece più copioso, la scarpa era allacciata perfettamente, 
adesso. Sotto, un oceano di tetti copriva la terra fra le acque, un 
mosaico di silenziosi formicai brulicanti come i vermi sul corpo di un 
animale morto. 
Barcollò.
La cintura gli stringeva in  vita, la camicia aderiva al suo petto 
depilato, affannato come un mantice: solo 24 ore prima era a casa sua, 
stravaccato con una birra sul divano pieno di molliche, poco prima che 
arrivasse il bip bip del messaggio cifrato con cui gli era stato 
ordinato di partire subito. La destinazione solo in aereoporto. 
Terza volta in un anno che accadeva. Fortunatamente poco, anche se 
aveva imparato a farsi piacere l'imprevisto, meglio se pericoloso. 
Lei lo aspettava nella sala luminosa , una scrivania perfettamente in 
ordine, i bagliori del sole attutiti  dal freddo dell'aria, tacchi 
altissimi sulle gambe splendide, riflessa nella luce dello schermo del 
PC, gli occhi fissi su di lui del colore fra il fuoco e della terra, 
magnifica e suprema, una dea dell'assoluto. 
Prese da un basso mobile un sottile frustino, lui si chinò e senza una 
parola iniziò a sbottonarsi i calzoni, poi li mollò giù insieme ai 
boxer: rimase seminudo, carponi, gli occhi bassi, in attesa.
Un solo colpo ben assestato, a disegnare rami scarlatti sulle natiche, 
poi le parole, dure , sferzanti: "mi obbedirai come sempre, lo so, sai 
cosa ti aspetta se non lo farai, stavolta la cosa è decisamente sopra 
le tue possibilità, ma tu lo farai".
Lentamente si avvicinò, tanto che lui poteva sentire il profumo che 
facevano le sue mutande, spinse il suo bacino contro il suo viso, le 
mani forti sulla nuca di lui, ed iniziò una cantilena di parole tenere, 
una voce da bambina dolce e folle: mentre sollevava la stretta gonna e 
metteva la sua fica all'altezza della bocca tremante di lui. 
Lui fece quello che ci si aspettava da lui, docile e mansueto, un cane 
di razza obbediente, non a caso lei era la sua padrona e da ogni suo 
gesto dipendeva la sua incolumità, e non solo nel corpo: ma allo stesso 
tempo stava esplorando con la lingua il suo paradiso personale e quello 
che lo aspettava un giochino semplice, rispetto a questo. 
Mortale ma semplice.
Il clitoride di lei duro nella sua bocca; gli umori sulle sue guance, 
nel suo naso;  il sapore di conchiglia algosa nel suo cervello , come 
un chiodo fisso.
Lei si staccò, infine: prese da un elegante contenitore una Magnum 
Parabellum e glielà passò, poi lo congedò dicendogli: " il resto a dopo 
", e chiuse con uno scatto le porte dell'ascensore.
Lui si guardò ed aveva ancora una volta la scarpa slacciata, ma adesso 
non era più importante.

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